IN GUATEMALA PER CONDIVIDERE, CON UMILTA’ E RISPETTO

La mia decisione di partire per un’esperienza come cooperante in un paese del sud del mondo ha tardato. Da anni era la mia aspirazione, ma poi mi confrontavo con la mia esperienza, professionalità e non mi sentivo all’altezza di tale compito.
Anche se le proposte già arrivavano, ho voluto aspettare.
Purtroppo (o per fortuna) non sono una grande sostenitrice del “parto perché sono buona e voglio aiutare gli altri”, un atteggiamento controproducente per gli abitanti del sud del mondo, che si aspettano delle competenze ben specifiche per poter a loro volta, crescere.
Di solo buonismo, infatti, non si vive.
Credo che per lavorare nel sociale occorrano competenze specifiche, forse ancora di più di quanto ci si possa immaginare: si ha a che fare con la vita, con le persone e solo per questo è giusto riporre un’attenzione approfondita, misurando sul campo le azioni e i rischi ai quali andare incontro.
Partire per il Centro America era abbastanza delineato in me per l’amore che ho sempre rivolto a questa parte di mondo e alla sua cultura.
Eppure, nonostante avessi già visto e conosciuto diversi paesi della zona, il Guatemala è riuscito a stravolgere molti dei miei ideali, rafforzando la mia voglia di fare.
Ricordo che mi ha colpito il forte “machismo”: il ruolo della donna subordinato all’uomo, le ragazze che a 16 anni hanno già due figli e sembrano signore di 40 anni, l’alto tasso di alcolismo, la violenza all’interno delle famiglie, quella infantile. Sono cose che conosci, di cui hai sentito parlare, ma vederlo, sapere che è uno dei problemi più grossi di un paese, che le persone con cui lavori sono le vittime di tutto questo, che il tutto deriva anche da una storia di violenza che il paese ha vissuto e che ci vorranno anni perché le cose cambino…demoralizza.
Si, demoralizza.
Il Guatemala con i suoi problemi, le sue contraddizioni, i suoi conflitti latenti, la sua moltitudine di culture, climi, paesaggi.
Un paese che ti assorbe; così piccolo, ma così vario e difficile.
Facevo parte di tre progetti in zone diverse del paese.
Un paese dove la povertà è in ogni angolo.
La prima domanda è sorta spontanea: perché dopo tanti anni di aiuti siamo ancora allo stesso punto?
Ma solo con il tempo e il vivere quotidiano al lato delle persone che come me desiderano un cambiamento, mi sono resa conto di quanti piccoli passi si sono fatti e tuttora si stanno facendo.
La realtà non è facile e una volta arrivata sul posto ho dovuto studiare il paese, la storia, l’economia e le culture al suo interno.
Anche perché senza uno studio approfondito di ciò che è il paese dove ti trovi, fai fatica a capire quali sono e perché esistono determinati problemi.
Doverli affrontare significa poi condividere, collaborare e cooperare con le persone per capire le loro necessità secondo la loro ottica, che molto spesso non coincide con ciò che pensiamo arrivando da una cultura completamente diversa.
Significa umiltà, perché non è detto che persone senza titolo di studio non sappiano farti vedere la luce in quello che per te era un tunnel senza via d’uscita.
È importante far capire alle persone che non siamo li per colonizzarli, rubargli le risorse o comandarli, ma per collaborare con loro per un mondo più giusto, più rispettoso delle diversità ma allo stesso tempo per lasciare piccoli tasselli che potranno usare in caso di necessità.
Soprattutto parlo di pazienza, perché purtroppo essere artefici di un cambiamento richiede tempo e a volte può anche demoralizzare riscontrare che il sistema è più forte di noi.
Credo sia importante poter far parte di quelle persone che vogliono un cambiamento, un equilibrio nella distribuzione e gestione delle risorse mondiali e una vita con dignità per ogni essere umano facente parte di questo mondo, il nostro mondo!
È un lavoro interessante, soprattutto per il rapporto con le altre culture e per la libertà con cui puoi esprimerti.
È un lavoro per cui ci vuole grande passione e sensibilità.
Sicuramente non è facile riuscire a scindere vita privata e lavoro, perché spesso rimani coinvolta dagli eventi e dai problemi, rischiando di non avere nè sabati né domeniche.
Alla lunga questo può poi ripercuotersi sullo stato emotivo e psicologico della persona.
Sono convinta comunque che, alla fine, da questo tipo di esperienze è molto più quello che “si porta a casa” di quello che si lascia.
Allo stesso tempo penso sia importante riconoscere che spesso il volontariato è una forma di egoismo, ossia lo facciamo, in primo luogo, per far star bene noi stessi. Senza vergogne ne paure, è importante comunque ammetterlo.
Mi piacerebbe lanciare un messaggio a quanti magari vorrebbero fare qualcosa, ma non se la sentono di partire per un paese del sud del mondo: non è sempre necessario partire ed agire direttamente in questi paesi. C’è molto da fare anche nel nostro paese. Il cambiamento serve anche qui ed è per questo che ho voluto fondare un’associazione che opera sul nostro territorio, per sensibilizzare, raccogliere fondi, ma soprattutto per far si che ogni persona possa sviluppare un lato critico ed obiettivo sulle disuguaglianze, insensibilità e individualismo verso cui una società come la nostra molto spesso ci porta.
Tornata, ho ancora con me una marea di dubbi che mai, probabilmente, avranno risposta. Ma credo che l’importante sia fare qualcosa, perché da solo questo mondo non cambia, anzi è destinato a peggiorare.

Sofia Bergonzani

Tratto da ForumNotizie, periodico di collegamento di Forum Solidarietà. Numero 1, marzo 2008, anno XVI

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