Martiri della giustizia e della carità

di Gerolamo Fazzini

Dalla morte di Romero a oggi,l'’America Latina vive una stagione di testimoni della fede uccisi per il servizio ai poveri e la difesa dei diritti nel nome del Vangelo

All'indomani dell'uccisione dei sei gesuiti dell'Università Cattolica di San Salvador, Jon Sobrino, confratello delle vittime - scampato all'attentato perché in Asia - si sentì chiedere: «Ma nel suo Paese i cattolici uccidono i preti?».Il martirio conosce forme diverse, tante quante la testimonianza della fede nel concreto delle situazioni. Se di «cristiano-fobia» si parla a proposito dell'odio che spesso sperimentano i seguaci di Gesù in alcuni Paesi islamici oppure nell'India del fondamentalismo indù, non dev'essere dimenticata la fedeltà al Vangelo, resa da tante persone e a prezzo del sangue, in quell'Ame¬rica Latina che le statistiche additano come il continenti più cattolico del globo. Un continente dove i sicari colombiani, rosario al collo, andavano a pregare la Vergine per assicurarsi la sua protezione prima di un sequestro e dove risultano battezzati molti dei soldati o dei guerriglieri che hanno insanguinato le città. Trent'anni dopo la sua uccisione, il suolo latinoamericano continua a essere irrigato dal sangue di martiri, nel solco di Romero (nella foto), abbattuto dalla violenza e divenuto simbolo dell'opposizione evangelica alla logica della sopraffazione. La storia di questi ultimi tre decenni vede, nelle file dei testimoni della fede, alcune luminose figure di pastori: il cardinale messicano Posadas Ocampo, i vescovi Gerardi Conedera del Guatemala, Jaramillo Monsalve e Cancino Duarte della Colombia. Ma contempla anche uno stuolo di preti e di religiose: qui ricordiamo solo due suore francesi, Alice Doumon e Léonie Duquet, che, nell'Argentina dei desaparecidos, avevano solidarizzato con un gruppo di madri di scomparsi e per questo vennero eliminate nel 1977.Dittature militari e governi oppressivi hanno insanguinato Paesi come l'Argentina (1973-1982), il Brasile (1964-1985), il Paraguay (1954-1989), il Cile (1973-1989). In Paesi come Colombia e Guatemala, dilaniati da una «guerra civile» pluridecennale, si può persino parlare di martirio di popolo. Tant'è che i vescovi del Guatemala nel 1996 a Giovanni Paolo II, in vista del Giubileo del 2000, presentarono una lista di 77 nomi di fedeli, in larga parte laici.
SE QUELLA stagione politica può dirsi conclusa, non è però finito il tempo in cui, nel continente latinoamericano, testimoniare la fedeltà al Vangelo può costare la vita. Un dato colpisce. Nel corso del 2009 sono stati uccisi nel mondo 37 operatori pastorali, 30 dei quali sacerdoti. Ebbene, il continente più toccato dal sangue è proprio l'America Latina. La stragrande maggioranza delle uccisioni è avvenuta nel corso di tentativi di rapina o di furto. Non una violenza connotata religiosamente, dunque, bensì l'esito di una criminalità che cresce in un contesto di miseria, d'ingiustizia irrisolta e degrado sociale e si alimenta di rabbia e voglia di vendetta. In una situazione del genere, «dire il Vangelo con la vita» espone a rischi pesanti, a cominciare da quello di finire uccisi per un cellulare o per un pugno di dollari. Don Paulo Henrique Machado, 36 anni, brasiliano, è stato ucciso il 25 luglio 2005 da un commando armato. Il corpo è stato ritrovato a bordo della sua auto alla periferia di Rio de Janeiro, senza orologio, cellulare e portafoglio. Il movente del delitto sarebbe da ricercare nell'attività del sacerdote nel campo dei diritti umani, mal tollerata dalle bande criminali locali. Don Paulo aveva più volte denunciato i soprusi dei narcotrafficanti.Nel Guatemala che ufficialmente ha firmato la pace nel 1996 (ma dove la tensione sociale è tutt'altro che risolta) ha trovato una morte violenta don José Maria Ruiz Furlan, prete locale di 69 anni, assassinato il 14 dicembre 2003 a colpi di arma da fuoco, a Città del Guatemala, in una zona povera e popolare. Molto noto per l'impegno a favore delle classi più disagiate, nei mesi precedenti la morte aveva duramente criticato il governo di destra per le ripetute violazioni dei diritti umani nel Paese.«Martire della giustizia» potremmo chiamare anche Johnny Mo¬rales, 34 anni, cooperatore Sale¬siano del Guatemala: è stato ucciso l'8 dicembre 2006 in un'imboscata. Lavorava nella segreteria dell'amministrazione tributaria e solo due giorni prima era stato destinato alla frontiera di Tecún Umám (Messico), caratterizzata un elevato livello di narcotraffico e contrabbando. «La causa del crimine - annota l'agenzia Fides - sembra vada ricercata proprio nella sua integrità, in quanto avrebbe rifiutato di compiere atti illeciti».Jorge Humberto Echeverri Garro, 40 anni, professore ed operatore pastorale, l'11 giugno 2009 si trovava a Colonos, remota località della Colombia, per partecipare ad una riunione della Pastorale sociale. Un gruppo di guerriglieri ha raggiunto il luogo della riunione e ha colpito a morte il professore, il quale era anche catechista e membro di una rete di docenti supportata dalla Pastorale sociale «per la pace e la convivenza».Per indiani e neri era una donna «da sempre appassionata della ricerca della giustizia e della pace». Suor Marguerite Bartz, 64 anni, delle Suore del Santissimo Sacramento è stata uccisa nel suo convento nella zona dei Navajo, nel Nuovo Messico, il primo novembre 2009.
UNA CATEGORIA peculiare dei «nuovi martiri», a cavallo fra la fine del secondo e l'inizio del terzo millennio, è rappresentata da persone che si fanno carico della marginalità giovanile, scegliendo la strada come terreno pastorale e, in alcuni casi, pagando con la vita la dedizione ai «loro» ragazzi.Lo spagnolo don Ramiro Ludeña, 64 anni, originario di Toledo, è uno di loro. Lavorava da 34 anni in un'associazione per bambini di strada, il Movimento di appoggio ai meninos de rua (Mamer), con base a Recife, nel Nordest del Brasile. Lì è stato ucciso, il 20 marzo 2009, da un colpo di fucile. Un ragazzo di 15 anni ha confessato il crimine: voleva rapinare il sacerdote e ha sparato pensando che stesse cercando un'arma per difendersi. «Ho conosciuto don Ramiro all'inizio degli anni Ottanta, quando dirigeva la scuola di formazione professionale dei salesiani di Recife - racconta Luis Tenderini, responsabile di Emmaus Americhe -. Mi ha colpito, fin dai primi contatti, la sua capacità di rapportarsi con i ragazzi e giovani della scuola. L'ho incontrato nuovamente alcuni anni dopo: stava iniziando un'esperienza-pilota con i ragazzi in una fattoria dei salesiani, insegnando a lavorare la terra e allevare piccoli animali». Un esperimento andato a buon fine tanto che, come ricorda Tenderini, don Ramiro e i suoi avevano vinto un premio come migliori allevatori di una razza di capre dello Stato del Pernambu¬co. Continua Luis: «A un certo punto, la sua esperienza con ragazzi e adolescenti l'ha portato a una scelta più radicale: dedicarsi integralmente ai meninos e meninas de rua, per impedire che cadessero nelle mani del narco-traffico. La sua morte tragica è avvenuta proprio per mano di uno di questi adolescenti, a cui ha dedicato tutte le sue energie, tutta la sua vita».

NELL'INTRAPRENDERE tale scelta don Ludeña aveva incontrato alcuni contrasti con i superiori. Riprende Tenderini: «Ricordo una sua visita alla Comunità Emmaus, una decina di anni fa, quando abbiamo potuto scambiare le reciproche esperienze che stavamo vivendo. Le numerose testimonianze di persone e gruppi alla sua morte confermano la grande figura di uomo e di prete che è stato padre Ramiro».Il caso di don Ludeña è in qualche modo emblematico, ma non certo l'unico. Tra le vittime più recenti della violenza giovanile figura padre Gisley Azevedo Gomes, ucciso il 15 giugno 2009 all'età di soli 31 anni. Padre Azevedo Gomes era, da appena due anni, consulente della sezione giovani della Conferenza episcopale brasiliana. Il cadavere del sacerdote è stato trovato il 16 giugno, in prossimità di Brazlândia, città satellite della capitale. Autori del crimine sono alcuni giovani che, saliti sulla sua vettura, lo hanno prima derubato e poi ucciso. Ironia della sorte, il giovane sacerdote era tra gli organizzatori della Campagna nazionale sul tema «Gioventù in marcia contro la violenza». «In maniera deplorevole - hanno dichiarato i vescovi - è stato vittima di quella violenza che desiderava combattere». Per mano di giovani è caduto un altro sacerdote brasiliano, anch'egli poco più che trentenne: don Evaldo Martiol, della diocesi di Cacador (Brasile), è stato assassinato a Santa Caterina la sera del 26 settembre 2009 da due giovani, di 21 e 15 anni, rispettivamente zio e nipote. Il sacerdote è rimasto vittima di un furto finito in omicidio. Don Evaldo ha dato un passaggio sulla sua automobile ai due giovani che lo hanno ucciso. Il giorno seguente la polizia ha identificato i criminali, che avevano ancora con sé la macchina, il cellulare e i documenti del sacerdote. Tra i testimoni della fede e della carità dediti alla causa dei giovani (e che hanno trovato la morte esercitando tale servizio) possiamo annoverare don Jesus Adrian Sanchez, prete colombiano di 32 anni, della diocesi di Espinal. È stato ucciso il 18 agosto 2005 mentre stava tenendo una lezione di religione in una scuola rurale: un uomo armato ha fatto irruzione nell'aula, costringendo il sacerdote a uscire, quindi gli ha sparato, uccidendolo. Recita la notizia diffusa da Fides alla sua morte: «Il sacerdote era attivamente impegnato soprattutto nella cura pastorale dei giovani, che cercava in ogni modo di persuadere a non lasciare gli studi per unirsi alle fila dei guerriglieri e dei violenti». Sono davvero tanti coloro che hanno dato la vita sui fronti caldi della lotta all'emarginazione, alla tossicodipendenza e per il riscatto dei giovani. Un elenco lungo che certo comprende don Bruno Baldacci, fidei donum della diocesi di La Spezia, 63 anni, ucciso il 30 marzo 2006 nella sua stanza, a Vitória da Conquista (Stato di Bahia). Baldacci, che aveva trascorso 42 anni in Brasile, negli ultimi tempi si era dedicato in particolare a strappare i giovani dalla tossicodipendenza.Occuparsi di giovani può significare entrare in collisione con le bande giovanili che in molti Paesi del Centroamerica imperversano seminando violenza. Nel caso dell'assassino di don Ricardo An¬tonio Romero, 53 anni, salvadoregno della diocesi di Conso¬nate, la polizia sospetta che a firmarlo sia stata una delle maras della zona. L'hanno trovato, all'alba del 25 settembre 2006, col corpo fracassato da colpi di pietra e bastone.

UN FILO ROSSO lega fra loro queste morti avvenute in contesti così disparati: la dedizione ai poveri in nome del Vangelo. Un prete francese, Andé Jarlan, ucciso casualmente durante una sparatoria a Santiago del Cile nel 1984, ha lasciato scritto: «Coloro che fanno vivere sono quelli che offrono la vita, non quelli che la tolgono agli altri. Per noi la resurrezione non è un mito, ma una realtà. Questo evento, che celebriamo in ogni Eucaristia, ci conferma che vale la pena di dare la vita per gli altri e ci impegna a farlo»

L'appello

A trent'anni dall'uccisione, molti si chiedono a che punto sia la causa di beatificazione di monsignor Romero. Ebbene, la Conferenza episcopale di El Salvador ha chiesto a Benedetto XVI la «rapida conclusione» del processo di beatificazione dell'arcivescovo. I vescovi salvadoregni hanno adottato questa decisione nella prima riunione annuale, come ha reso noto l'ausiliare di San Salvador, Gregorio Rosa Chávez.

Per saperne di più

n A. Riccardi, Il secolo del martirio. I cristiani nel Novecento, Mondadori, 2000, pp. 528n G. Fazzini, Lo scandalo del martirio. Inchiesta sui testimoni della fede nel terzo millennio, Ancora, 2006, pp. 208n Paulo Lima, Lele vive, Emi, 2005, pp. 160n AAVV, Perseguiteranno anche voi, Emi, 2002, pp. 251n J. Sobrino, Nel segno di Romero, Pimedit 2005, pp. 48n E. Maspoli, Ignacio Ellacuria e i martiri di San Salvador, ed. Paoline, 2009, p.176

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