GUATEMALA/ANNIVERSARI: Juan Gerardi, un vescovo contro la dittatura

di Geraldina Colotti, (Il Manifesto-27.04.2010)

Nella notte tra il 26 e il 27 aprile 1998, Juan Gerardi Conedera, vescovo dei poveri e degli indigeni, viene ucciso nella sua casa parrocchiale di San Sebastian, nel centro storico di Città del Guatemala. Omicidio politico o delitto a sfondo sessuale? Le indagini governative ricostruiscono un ambiente torbido in cui la personalità del vescovo, uomo gioviale e incline alla bevuta, assume una luce ambigua. Una folla di 20.000 persone, però, manifesta per le vie della capitale, e punta il dito contro i militari. L'Odha, l'Ufficio per i diritti umani dell'arcivescovado di Guatemala, svolge una controinchiesta che rivela i contorni dell'«omicidio di stato»: fra depistaggi e testimoni eliminati, si arriva alla condanna di alcuni militari e un sacerdote, resa definitiva dalla Corte costituzionale il 25 aprile 2007. Un caso «complesso e disorientante», scriverà il giornalista Francisco Goldman nel volume L'arte dell'omicidio politico (Il Saggiatore). Il libro farà rumore: tanto da disturbare la candidatura del generale Otto Perez Molina - dato per vincente alle elezioni del 2007, che porteranno invece alla presidenza il socialdemocratico Alvaro Colom - rivelando la sua presenza intorno alla casa parrocchiale la notte dell'omicidio. I mandanti dell'assassinio, però, non sono mai stati individuati. Due giorni prima di morire, Gerardi aveva presentato il rapporto da lui introdotto, Guatemala: mai più, sulle violenze perpetrate dai militari durante il conflitto trentennale terminato con un accordo di pace nel 1996. Per 19 anni, il Guatemala era stato nella lista dei peggiori violatori dei diritti umani. Era incorso nelle sanzioni Onu e aveva dovuto far fronte alle periodiche sospensioni di forniture d'armi da parte degli Usa: armi che venivano comunque assicurate sottobanco dalla Cia, da Taiwan o da Israele, che aveva costruito per l'esercito una fabbrica di munizioni. Era stato così fin dal 1954. Allora, la Cia aveva tolto di mezzo il presidente democratico Jacobo Arbenz, colpevole di aver approvato la riforma agraria, infastidendo il potere della multinazionale United Fruit Company, principale proprietario terriero del paese. Dopo la rivoluzione cubana, gli Usa avevano puntato sui militari, in Guatemala ogni rivolta pacifica era repressa nel sangue. Nel 1980, nel dipartimento di El Quiché, 37 contadini maya occupano l'ambasciata spagnola di Città del Guatemala. Vengono massacrati tutti (tranne uno), insieme al personale dell'ambasciata. Fra loro, anche il padre del futuro premio Nobel, Rigoberta Menchù. Gerardi è vescovo di El Quiché. I militari vogliono che denunci la guerriglia, ma lui non ci sta. Parla con un superiore, il quale però benedice i carri armati in nome dell'anticomunismo, piuttosto che ascoltare gli indigeni. Gerardi, invece, celebra messa in lingua maya, e scrive: «Se i poveri sono fuori dalla nostra vita, allora, forse, anche Cristo lo è». Qualche mese dopo l'uccisione, in Salvador, dell'arcivescovo Romero, tentano di farlo fuori. Per paura, Gerardi chiude la diocesi e va in esilio in Costa Rica. Dopo il colpo di stato del generale Efrain Rios Montt, nell'82, ritornerà in Guatemala, sempre vicino agli ultimi. L'omicidio del vescovo pesa ancora sulla memoria di un paese segnato dall'ingiustizia sociale, la cui ricchezza resta nelle mani di una ventina di famiglie. Parlando al centro Juan Gerardi (Ravenna), monsignor Alvaro Ramazzini - minacciato di morte per l'impegno a fianco dei senza terra guatemaltechi - ha denunciato il crescente impoverimento della popolazione e l'assenza di una pur moderata riforma agraria. Il presidente Colom, ricattato dai grandi imprenditori che gli hanno finanziato la campagna elettorale, teme di far la fine diZelaya in Honduras, deposto dai militari.

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