"...e poi la dignità, la grande dignità di queste persone....": intervista a Filippo Ticozzi

Da pochi giorni sei tornato dal Guatemala dove hai lavorato ad un documentario destinato ai bambini delle scuole elementari e medie della provincia di Pavia. Puoi raccontarci l'esperienza progettuale ed umana che hai vissuto?
"L’esperienza è stata ottima. Premetto che andare lontani da casa non per turismo è sempre una lezione. Il viaggio, l’incontro, insegna sempre. Dal punto di vista umano è stato, ma dico una banalità, una ricchezza vera e propria. Un mondo mille miglia lontano dove ritrovare problemi che noi consideriamo sorpassati o, semplicemente, ignoriamo: la povertà estrema, i pochi mezzi, come l’assenza di elettricità e di acqua corrente, la fatica di bimbi e adulti per sopravvivere. E poi la dignità, la grande dignità di queste persone. Dal punto di vista progettuale mi sono trovato benissimo: AINS ha puntato sul documentario per la terza volta e, come sempre, ha lasciato molta libertà nella realizzazione."
Per realizzare le riprese insieme a Nicola Grignani avete soggiornato 24 ore
nella comunità di El Poshte, 12 famiglie a circa un ora di strada, sulle montagne, da El Rancho. Come è stata l'esperienza di una giornata con loro?
"Questo è uno dei motivi per cui ringrazierò sempre il documentario. Solo facendo questo mestiere si vanno a cercare cose che altrimenti verrebbero tralasciate (perché rimuovere è una delle attività preferite d’oggi). E si aprono varchi. E’ stato interessante vedere come vivono, cosa fanno. Ma più di tutto è stato importante sentire, e sottolineo sentire, il ritmo della loro vita, della loro giornata. Dimenticarsi l’ora e cenare quando imbrunisce Perchè dopo è tutto più difficile. Incontrare insetti indicibili sotto il tuo letto prima della notte, e poi non poterci fare più nulla a causa del buio (per inciso: non mi hanno fatto nulla). Rumori sconosciuti. L’alba che porta la vita. Il ritmo del loro vivere ci ha dato la misura della loro integrità. Ma è difficile da spiegare. Ci siamo scordati ad un certo punto dei luoghi comuni che avevamo in testa, Nicola ed io, nonostante la nostra vita sia intrisa di viaggi. Luoghi comuni che tutti hanno nel profondo, dentro. E abbiamo cominciato a non farci più domande. Un esempio dei più banali è che non c’è sporcizia, non ci sono malattie, c’è solo un
modo differente di andar incontro a queste cose, fronteggiandole con mezzi diversi ma con grande attenzione."
Quanto è difficile riprendere il quotidiano di una o più persone che vivono in una realtà fatta di povertà, mancanze e disagio sociale senza scadere nel compassionevole?
"Prima di tutto devo dire che è sempre difficile riprendere la vita della gente, al di là della classe, della nazionalità, tipo, ecc. La camera rivela, accusa, ma è anche maleducata, opportunista... e poi è molto fastidiosa. E’ sempre una piccola violenza riprendere le persone, anche se gli “attori” accettano il patto. Questo risulta ovviamente più difficile in condizioni di disagio, anche se solitamente sono molto più gentili i diseredati degli “altri”.... Ma l’idea di fare gli avvoltoi, di sfruttare le immagini per il proprio egoismo, per il proprio voler “fare film” è forte. Ne parlavamo spesso, Nicola ed io, ci sentivamo un po’ a disagio, nonostante fossimo i benvenuti. Non c’entra la causa, i buoni propositi, che qui erano assoluti: è proprio qualcosa di immanente al filmare."
Quanto bisogno c'è di documentare il sociale?
"Questa è una domanda complessa…. Diciamo che documentare forse è inutile. Bisogna creare un linguaggio che discuta il sociale, che lo faccia riecheggiare."

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