silenzio

Gli autori dei libri di storia dedicano troppa attenzione ai cosiddetti “ momenti forti ” e troppo poca ai momenti di silenzio.
Si tratta di una mancanza di intuizione: di quell’infallibile intuizione comune a ogni madre appena si accorge che dalla camera del suo bambino non proviene alcun rumore. La madre sa che quel silenzio non significa niente di buono, che nasconde qualcosa.
Corre a intervenire perché sente il male aleggiare nell’aria. Questa medesima funzione, il silenzio la svolge nella storia e nella politica. Il silenzio è un segnale di disgrazia e non di rado di un crimine. E’ uno strumento politico, esattamente come il fragore delle armi o i discorsi di un comizio. Uno strumento di cui hanno bisogno i tiranni e gli occupanti che vigilano affinché la loro opera sia accompagnata dal silenzio.
Pensiamo a come i vari colonialismi tutelassero il silenzio. Con quanta discrezione lavorasse la santa Inquisizione. Con quanta cura Leonidas Trujillo evitasse ogni pubblicità.
Quale silenzio emana dai paesi che traboccano di prigioni!
Lo stato di Anastasio Somoza: silenzio.
Lo stato di Fracois Duvalier: silenzio.
Che grande impegno mette ognuno di questi dittatori nel mantenere quell’ideale stato di silenzio che qualcuno cerca continuamente di turbare! Quante vittime per questo motivo, e quali costi!
Il silenzio ha le sue leggi e le sue esigenze.
Il silenzio esige che i campi di concentramento sorgano in luoghi appartati.
Il silenzio necessita di un enorme apparato poliziesco e di un esercito di delatori.
Il silenzio esige che i nemici del silenzio spariscano all’improvviso e senza lasciare traccia.
Il silenzio vorrebbe che nessuna voce – di lamento, di protesta, di indignazione – disturbasse la sua pace.
Ovunque risuoni una voce del genere, il silenzio colpisce con tutte le forze e ristabilisce lo stato precedente, ossia lo stato di silenzio.
Il silenzio possiede la facoltà di espandersi, ragion per cui adoperiamo espressioni quali: il silenzio “regnava all’intorno”, o “avvolgeva ogni cosa”.
Il silenzio ha anche la capacità di aumentare il peso: non per niente si parla di un “silenzio pesante”, allo stesso modo in cui si parla del peso dei corpi solidi o liquidi.
La parola “silenzio” appare quasi sempre associata a termini quali “cimitero” (un silenzio di tomba), “campo di battaglia” (il silenzio dopo la battaglia), o “sotterranei” (i sotterranei immersi nel silenzio).
Non si tratta di associazioni casuali.
Oggi si parla molto della lotta contro il rumore, mentre è molto più importante combattere il silenzio.
Nella lotta al rumore è in gioco la pace dei nervi, nella lotta al silenzio la vita umana.
Nessuno giustifica né difende chi fa molto rumore, mentre chi impone il silenzio nel proprio stato viene sempre protetto da un apparato repressivo.
Per questo la lotta al silenzio è così difficile.
Per infrangere il silenzio nel paese di Duvalier occorrerebbe una rivoluzione.
Chi volesse spezzare il silenzio in cui la United Fruit Company compie le sue macchinazioni esporrebbe il proprio paese a un intervento dei marines degli Stati uniti.
Sarebbe interessante analizzare in quale misura i sistemi di comunicazione di massa lavorino al servizio dell’informazione e in quale misura al servizio del silenzio.
Sono più le cose che vengono dette o quelle che vengono taciute?
È possibile fare il calcolo delle persone che lavorano nel campo della pubblicità: e se facessimo il calcolo di quelle che lavorano a mantenere il silenzio?
Quale delle due cifre risulterebbe maggiore?

Ryszard Kapuscinski
Cristo con il fucile in spalla,
Giangiacomo Feltrinelli Editore Milano, 2011
Pagina 100-102

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