Esperienza infermieristica in Guatemala

di Cristina Campano,
Infermiera di Domodossola

Dal 1° al 18 ottobre sono stata in Guatemala con un progetto di “interscambio culturale e professionale alla pari tra operatori sanitari”, organizzato dall’AINS di Pavia (Associazione Infermieristica Nursing Sociale) e pubblicizzato dalla sezione pavese dell’IPASVI.

Cristina (a destra) in compagnia di Eleonora Ragni,
infermiera di Pavia
Avevo sempre coltivato l’idea di partecipare ad una esperienza di solidarietà nei paesi in via di sviluppo, ma varie ragioni (difficoltà economiche, figli non ancora autosufficienti..) mi avevano sempre impedito di partire. Quando, a novembre dello scorso anno, leggendo le newsletter dell’IPASVI sono venuta a conoscenza di questo progetto, ho preso subito contatti per avere maggiori informazioni. Da qui è nata un’amicizia con Ruggero Rizzini, infermiere di Pavia, promotore dell’iniziativa nonché presidente dell’ AINS, associazione che opera in Guatemala con progetti sociali, sanitari ed edilizi.
Il passo successivo è stato l’avvio di un percorso di formazione che è consistito in alcuni incontri all’AINS di Pavia sulla situazione sanitaria e sociale del Guatemala, piccolo paese del centroamerica dove più della metà della popolazione vive sotto la soglia di povertà e il 90% della terra coltivabile è in mano a multinazionali e a una decina di ricche famiglie guatemalteche.
Il percorso formativo è stato una crescita culturale, professionale e umana che mi ha permesso di conoscere il quotidiano di un altro paese e di altre realtà lavorative.
Come infermiera, ho sempre ritenuto fondamentale sviluppare un sapere scientifico e umanistico, capace di consentire la realizzazione di pratiche assistenziali specifiche per ogni cultura e universali. Per offrire un’assistenza efficace, soddisfacente e culturalmente coerente è necessario un concetto di teoria infermieristica che tenga conto dei valori e delle credenze individuali. La malattia può assumere diversi significati in contesti culturali diversi e quindi penso che per noi infermieri diventi basilare, oggi più che mai visti anche i fenomeni di immigrazione nel nostro paese, un’ interconnessione fra nursing e antropologia.
Il nostro intervento in Guatemala si è svolto perlopiù nelle aldeas, villaggi indigeni situati nelle foreste, dove le condizioni sanitarie sono disperate, non c’è acqua potabile, né corrente elettrica né strade asfaltate.
L'isolamento geografico, l'ignoranza delle più elementari forme di cura e la non conoscenza delle fondamentali regole di igiene hanno fatto sì che il nostro intervento non si limitasse ad un semplice approccio sanitario o ad un’ esportazione di tecnologie; è stato invece altrettanto importante recuperare quella semplicità del rapporto paziente-malato che da noi a volte si perde.
Nello specifico, le giornate della salute sono state un'esperienza molto forte soprattutto emotivamente. In un attimo ti si ribaltano tutte le certezze e i concetti di salute assimilati in anni di studio e di esperienza in campo infermieristico. Ti accorgi come il diritto alla salute sia un lusso di pochi....
Arriviamo in queste aldeas sul cassone del pikup dopo aver percorso strade sterrate in pessime condizioni che gli indigeni percorrono a piedi impiegandoci dalle due alle tre ore per raggiungere il primo paese. Passiamo in mezzo ad una foresta a dir poco magica e all'improvviso quel che vedo mi lascia senza parole: centinaia di indigeni con numerosi bambini, in coda per essere visitati sotto un sole cocente ed un’ umidità che sfiora il 90%.
Ci salutano con entusiasmo, scarichiamo i farmaci che avevamo raccolto prima della partenza di cui hanno estremo bisogno per far fronte almeno alle necessità più impellenti.
L'ambulatorio (chiamarlo così è un eufemismo) è un locale dove loro tengono il mais accumulato e per visitare abbiamo una panca o visitiamo sul pavimento di terra battuta. Lavoriamo assieme a tre medici volontari guatemaltechi. Questo facilita la comunicazione con la gente ma è anche importante per capire e rispettare i caratteri specifici di una determinata cultura; diventa necessario per interagire sul piano dell'assistenza pratica e consente di mettere in atto pratiche di assistenza mirate al soddisfacimento dei reali bisogni di ogni singola persona.
Non è facile descrivere quel che ti passa nella mente e nel cuore durante quelle visite: bambini dagli occhi grandi e dai sorrisi sdentati, schiacciati dalla povertà e dalle condizioni di vita disperate, ti guardano invocando fiducia nel futuro e con gioia ti ringraziano per quel farmaco o per quel dentifricio che loro mai potrebbero comprare. La carezza data sui loro volti arsi dal sole ti fa gonfiare il cuore di pianto non tanto per l'impotenza e il limite del tuo agire quanto per la rabbia di questo mondo così ingiusto che vede noi sulle nostre comode poltrone e loro scalzi morire di denutrizione.
Per questo credo nella cooperazione, credo nei progetti anche piccoli come quelli che con AINS sosteniamo. Ma credo soprattutto in coloro che di questi progetti sono i reali protagonisti perchè ho avuto modo di toccar con mano la loro capacità di reagire ad ogni circostanza sfavorevole e di auto organizzarsi.

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