Dover spiegare un terremoto

El Rancho, El Progreso – Guatemala. 8 novembre 2012

Ieri l’ho sentito. Stavo leggendo un bel libro di Maurizio Chierici dal titolo La scommessa delle Americhe. Sono al primo piano di una struttura in mattoni, piuttosto ben fatta rispetto alla media delle abitazioni de El Rancho. Eppure la scossa è intensa, breve ma forte. Scendo a chiedere alla famiglia guatemalteca che mi ospita se stanno tutti bene. Apriamo internet e le notizie iniziano ad arrivare.
L’epicentro è stato nella zona di San Marcos, nella zona ovest del Paese, al confine col Messico. I morti sono molti e molte zone del Guatemala occidentale sono senza rete. La giornata è scandita dagli aggiornamenti su internet e dall’attesa di ricevere notizie dal mio referente che si trovava in quella zona. Finalmente arriva un messaggio. Sta bene. I soccorsi intervengono immediatamente ma si capisce dalle prime ore che il bilancio è ben peggiore di qualche strada inagibile e di energia elettrica interrotta.
La cifra dei morti è elevata. Più di 50 vittime, molti i feriti e 21 dispersi. La difficoltà delle comunicazioni non permette di sapere i dati con correttezza ma si parla di 17 mila individui coinvolti.
Mi immagino le tipiche domande da giornalista italiano: si poteva evitare? Non sarebbe il caso di incentivare maggiormente l’edilizia antisismica in un Paese estremamente sismico come il Guatemala?
Io però giornalista non sono. Sono cooperante e come tale ho un pessimismo innato. A quelle domande risponderei: Ma non lo vedi il Paese come sta? È uno dei paesi peggiori al Mondo per denutrizione cronica infantile, le case spesso non hanno acqua, lo stato è in grado di garantire solo la presenza dei soldati a proteggere gli interessi forti, le strade sono perennemente invase da detriti che si staccano dai pendii alla prima pioggia ed io dovrei pensare che si dovrebbe fare una legge per incentivare le strutture antisismiche?
Si, forse con un po’ di freddezza avrebbe ragione quel giornalista con le sue domande ma il morale non mi permette di assentire. Anche perché qua al Rancho la vita scorre come sempre. Mi arrivano i tanti messaggi preoccupati dall’Italia. Io mi guardo un po’ attorno, e dico che va tutto bene a prescindere, per tranquillizzare. Fa niente se stamane mi sono svegliato alle 6 col letto che ballava.
Poi vado dai “miei” bambini di un’aldea vicina con cui giochiamo, leggiamo e ragioniamo insieme. Un agglomerato di mattoni coperti da lamiere, una attaccata all’altra; giusto lo spazio per le galline che razzolano tra le hamache e le cucine. Qua non hanno televisione, non hanno radio; solo alcuni hanno i genitori che leggono El Diario, un quotidiano imbarazzante che ogni giorno bombarda la mente dei guatemaltechi con cronache per violenza. Il Presidente “mano dura” ringrazia il giornale dell’operato e ne raccoglie i risultati alle urne.
Ho accantonato l’attività tipica per parlare ai bambini di ciò che è successo. Ho preparato un po’ di immagini per spiegare loro cosa è un terremoto, immaginandomi che sarebbero stati contenti di sapere qualcosa sul proprio Paese. Si erano accorti che la terra tremava, e mimano un ballo latinoamericano ridendo. Guardano al pc le foto che gli mostro di San Marcos. Stanno un attimo in silenzio, con la faccia stupita e poi esclamano: guardiamo un cartone animato?
Li guardo e sì, qua a El Rancho forse va proprio tutto bene.

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